Il mio giuggiolo (Zizyphus vulgaris Lamarck – Rhamnaceae) quest’anno, nonostante la siccità, mi ha regalato un bel po’ di frutti che alcuni giorni fa ho raccolto con molta soddisfazione. E’ un arbusto che nasce selvatico nelle montagne dell’Asia, dall’Anatolia fino al Nord della Cina. Nel nostro paese venne importato dai Romani e oggi è coltivato in buona parte dell’Italia.
Il suo frutto fresco, una drupa simile a un’oliva bruna con seme indurito, si raccoglie all’inizio dell’autunno; questo naturalmente non a caso perché esso nasconde dentro di sé delle proprietà, soprattutto emollienti, che ci aiuteranno a prevenire e coadiuvare alcune problematiche invernali: infiammazioni della gola e delle vie respiratorie.
La Natura come sempre prevede e provvede!!! Un detto ebraico afferma: “Dio ha inventato prima il rimedio e poi la malattia”.
Un tempo non c’era farmacopea o rimedio erboristico che non prendesse in considerazione le giuggiole, dagli sciroppi alle pastiglie contro la tosse e la raucedine. Nell’antico Egitto ne ricavavano addirittura il vino.
Purtroppo la sua coltura è molto regredita per la mancanza di richiesta sia da un punto di vista terapeutico e sia perché sulle nostre tavole devono essere presenti frutti sempre più voluminosi, tirati a lucido, senza imperfezioni o più sapidi.
I suoi principali componenti sono: mucillaggine, glucosio e saccarosio, acido malico e tartarico, nonché potassio, magnesio, vitamina C. E’ un ottimo alimento energetico soprattutto per bambini ed anziani (ben maturo è più dolce), ma meno indicato per chi è diabetico. Utile nelle infiammazioni intestinali e come blando lassativo è adatto a soggetti delicati.
La giuggiola è molto apprezzata dalla medicina cinese e pare che ne siano conosciute più di 400 varietà. Natura e sapore: neutra, dolce; azione: rinfrescante, nutriente. Indicata nelle orticarie, nelle enteriti, nelle congiuntiviti e negli stati di ansia. In Cina sono regolarmente reperibili ovunque.
Nelle prime domeniche di ottobre è bello assistere al festeggiamento delle giuggiole ad Arquà Petrarca, nei Colli Euganei.
Queste delizie si possono consumare fresche, oppure utilizzarle per fare delle marmellate, sciroppi, bevande liquorose (come il noto brodo di giuggiole) o essiccate in decotto.
Nome in inglese: Jujube. Nomi regionali: Gigiora (Liguria), Sussambun (Piemonte), Zanzurin (Lombardia), Zizoler (Veneto), Zinzavrein (Emilia), Zuzzolo (Toscana), Zugghero (Marche), Giuggiole (Lazio), Cerosalle (Abruzzo) Jujulu (Campania) Jojema (Basilicata), Zizzivo (Puglia), Zinzolara (Calabria), Curnebbia (Sicilia), Giugiul de arbre (Sardegna).
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In questo periodo se “becco” il raffreddore o devo affrontare una giornata lavorativa impegnativa, mangio a colazione un’abbondante porzione di giuggiole, al posto della solita frutta; finite le fresche, a metà mattina, invece assumo un decotto così preparato:
200 gr di giuggiole essiccate
mezzo litro di acqua
uno spicchio di mela tagliato a fettine
n. 2 anice stellato
due scorze di limone non trattato
1 cucchiaino di miele di arancio
Portare ad ebollizione l’acqua e poi aggiungere le giuggiole, la mela, l’anice e il limone. Far bollire per 5 minuti, spegnere e lasciar riposare per 10 minuti. Filtrare, unire il miele e la bevanda è pronta.
Per me il vero “brodo di giuggiole” è questo!
Utilizziamo questa bevanda nei cambi di stagione più importanti come la Primavera e l’Autunno così le difese immunitarie e la pace dei sensi saranno assicurate.
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Nella cosmesi naturale la polpa di giuggiola, essendo ricca di acidi della frutta, viene utilizzata come una buona maschera per la pelle: lenitiva e antiarrossamento.
Giulia Zeroni
Consulente del Ben*Essere su misura – giornalista pubblcista
(articolo pubblicato sul quotidiano “Mondoliberonline.it”, non più attivo)